L’articolo 21 della Regola dell’Ofs fissa la sua attenzione, dopo aver presentato l’organizzazione strutturale dell’Ordine Secolare, sulla figura del consiglio.
L’articolo afferma, nella sua prima parte, che “nei diversi livelli, ogni fraternità è animata e guidata da un Consiglio e un Ministro che vengono eletti dai Professi in base alle Costituzioni”. Per entrare bene in profondità dell’argomento, è bene subito sottolineare una piccola sottigliezza tecnica, tanto semplice quanto fondamentale, per capire cosa si vuole spiegare. Si afferma, cioè, che si è guidati da un consiglio (prima) e un ministro (poi). Sino all’ultima versione della Regola, rinnovata solo di recente, invece quanto scritto era ministro (prima) e consiglio (poi). Un ordine gerarchico preso alla lettera soprattutto dai responsabili delle fraternità locali e dalle stesse fraternità di base che in passato, non molto lontano da oggi, affidavano tutto nelle mani di un’unica persona. Tanto che se il ministro o la ministra per problemi di salute, personali, o di qualsivoglia genere non poteva né essere presente né tanto meno portare avanti il suo compito tutto si fermava.
La fraternità era animata e guidata da un ministro. Il consiglio veniva dopo, su un piano di-verso, a volte poco coinvolto nelle scelte pastorali, educative e organizzative della vita fraterna. Solo in rari casi si è portato avanti un discorso diverso, quello cioè poi fortemente voluto nel rinnovo della Regola, ovvero che a guidare la fraternità fosse una piccola fraternità nella fraternità. Un gruppo di persone, cioè, scelte dai Professi che si facesse garante, promotore ed esemplare nel mettere in pratica la vita fraterna. Non persone chiamate a comandare, a prendere decisioni solo per il gusto del sentirsi al centro dell’attenzione tanto da aspirare alla carica per anni e anni, ma fratelli e sorelle chiamati ad un “servizio temporaneo che è impegno di disponibilità e di responsabilità verso i singoli e verso i gruppi” così come lo stesso articolo 21, nel suo secondo capoverso, recita.
Il termine “servizio” mette subito in evidenza un aspetto spesso trascurato e cioè che far parte di un consiglio o essere investito di una carica non è un qualcosa che si sceglie ma è un qualcosa che ci viene affidato. Ecco perché offrire il proprio tempo, le proprie energie, i propri talenti all’interno di una vita fraterna e nello specifico nella vita di consiglio non può essere “volontariato”. Far parte di un consiglio è esperienza di Grazia, dove il Signore si è rivelato attraverso i fratelli per chiedere la condivisione di quanto Lui stesso ha messo a disposizione. Spesso ci si tira indietro facendo presenti nullità, incapacità, incompetenze, mancanza di tempo… ed invece ciascuno dovrebbe mettere a disposizione degli altri i propri talenti. E se una persona venisse eletta, lo sarebbe per ciò che è e per quanto può offrire. Pertanto, se ha ricevuto cinque dovrà dare cinque, né più né meno. Ecco il servizio, ecco la gratuità nel farlo. E quell’essere “primi” che talvolta si confonde con il “primeggiare” è riferito solo ed esclusivamente al gareggiare nello stimarsi a vicenda, ad amarsi, a sentirsi fratelli e sorelle nel nome del Signore. Anche in questo caso, invece, si gioca con le parole e ci si nasconde dietro la falsa modestia di dire “noi siamo gli ultimi”. Coloro che sono chiamati ad animare e guidare la vita di fraternità rivelano il loro essere “ultimi”, il loro essere piccoli, non affannandosi per le cose di questo mondo ma sperimentando per primi, e dando perciò l’esempio, lo stile della fraternità. Perché se il consiglio ama, anche la fraternità riesce ad amare. Se il consiglio prega, anche la fraternità prega. Se il consiglio ha fede, anche la fraternità si interroga e si affida. Se il consiglio anima la fraternità si sente animata.
In questo senso si spiegano i termini di disponibilità e responsabilità intesi dall’articolo 21. Proprio nell’ottica di chi risponde ad un invito e sa che gli vengono affidate delle persone da accompagnare nella loro vita di fede. Già… ci si preoccupa tanto dei fiori, delle tovaglie, dei soldi, delle iniziative, dei defunti, tutte cose preziose e da conservare, ma ci si dimentica che il ruolo dei consiglieri e del ministro è quello, prima di tutto, di avere cura delle persone. Ecco perché il consiglio deve saper vivere l’incontro con la fraternità privilegiando l’ascolto, il confronto, la condivisione, le proposte. Perché è la fraternità che propone ed è poi il consiglio che rielabora cercando di tener conto delle esigenze della maggior parte.
È in questo piano che la responsabilità ha un senso in quanto tale, tanto da comprendere la preoccupazione di chi sente il peso di non saper accompagnare gli altri nel personale camino di fede. Preoccupazione da rispettarsi ma che va affievolita con la Speranza che il Signore non lascia mai soli. Ecco il perché della vita di fraternità, ecco perché l’animazione e la guida funzionano se a “capo” non è solo una persona ma una fraternità nella fraternità.